Studio Legale De Nisco Nardone

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Il D.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, anche definito decreto correttivo della Riforma Cartabia ha apportato importanti modifiche è integrazione nell′ambito dell′istituto del Decreto ingiuntivo e della concessione della provvisoria esecuzione. Una rilevante modifica ha riguardato l′art. 634 c.p.c. sotto due diversi profili: -Il legislatore ha eliminato definitivamente il riferimento alla bollatura e alla vidimazione delle scritture contabili, nonché al relativo estratto autentico, ritenendo sufficiente quindi esclusivamente che le scritture contabili siano regolarmente tenute -Con la modifica all′art 634 cpc è stata poi riconosciuta piena validità, ai fini dell′emissione del decreto ingiuntivo, anche la c.d. fattura elettronica. È infatti prevista, al co. 2 dell′art. 634 c.p.c., l′introduzione di un secondo periodo, in forza del quale per i crediti di cui al presente comma costituiscono inoltre prova scritta idonea le fatture elettroniche trasmesse attraverso il Sistema di interscambio istituito dal Ministero dell′economia e delle finanze e gestito dall′Agenzia delle entrate. Del resto, la previsione sarebbe in linea con quanto espresso nella relazione illustrativa, a detta della quale il sistema di interscambio genera documenti informatici autentici ed immodificabili che non sono semplici copie informatiche di documenti informatici bensì duplicati informatici, assolutamente indistinguibili dai loro originali Il correttivo è poi intervenuto anche sull′art 648 cpc introducendo, in tema di concessione della provvisoria esecuzione, il nuovo comma 3. Con tale modifica è stata introdotta la possibilità per il creditore opposto di chiedere, se ricorrono ragioni di urgenza, che il giudice provveda circa la concessione della provvisoria esecuzione prima della prima udienza di comparizione. Il correttivo è quindi intervenuto in materia di decreto ingiuntivo sia adattando lo stesso ai nuovi strumenti telematici ed informatici in tema di scritture contabili, sia potenziando i poteri del giudice in tema di provvisoria esecuzione in un′ottica di velocizzare la procedura e tutelare il richiedente.
Con la sent. N 17402/2024 il Tribunale ha ribadito limportante principio secondo il quale la possibilità di compiere determinate azioni processuali o depositare determinati atti non dipende esclusivamente dallo spirare di un termine o dallaver già effettuato unazione processuale, quanto piuttosto dalla effettiva consumazione del potere processuale. La sentenza prende avvio da un procedimento di sfratto durante il quale il locatario-resistente, costituendosi già una prima volta e lamentando esclusivamente il mancato esperimento del tentativo di mediazione, depositava una seconda comparsa di costituzione. Il giudice nel corso del procedimento si pronunciava condannando parte resistente al rilascio dellimmobile, ritenendo inammissibile la seconda comparsa di costituzione essendosi già consumato il potere processuale. Nella sentenza veniva ribadito infatti come la duplicazione di un atto non comporti di per sé linammissibilità dellatto duplicato, essendo necessario verificare di volta in volta leffettiva consumazione del potere processuale, tenendo conto delle specifiche esigenze dellatto duplicato. Nel caso specifico, trattandosi di un procedimento tenuto con le norme del rito locatizio ex art 447 bis cpc, la possibilità di duplicazione dellatto contrastava con le esigenze di concentrazione e celerità tipiche del predetto rito, dovendo quindi considerarsi irreversibilmente consumato il potere processuale con il deposito della prima comparsa di costituzione. Con tale sentenza veniva poi ribadito come la procedura di mediazione demandata dal giudice non comporti una rinnovazione del giudizio e dei relativi poteri processuali, quanto piuttosto una sospensione dello stesso facendo salvi i poteri già consumati e gli atti già svolti, dovendo quindi inevitabilmente considerarsi già consumati i poteri esercitati e impossibile una loro riproposizione dopo lesperimento del tentativo di mediazione. (commento esteso pubblicato su De Jure - 14 febbraio 2025 - commento alla sentenza n 17402 del 15.11.2024 del Tribunale di Roma)
NUOVE REGOLE PER LA SICUREZZA STRADALE
A partire dal 14 dicembre 2024 è entrata in vigore la riforma del Codice della Strada (legge n. 177 del 2024), che porta con sé importanti cambiamenti, introducendo sanzioni più severe e nuove regole, oltre che una delega al Governo per l′elaborazione di decreti nei prossimi 12 mesi, finalizzati al riordino e all′aggiornamento del Codice stesso. Gli interventi più rilevanti riguardano: -abbandono di animali (articolo 2) con l′introduzione della revoca o sospensione della patente per chi abbandona gli animali in strada, con possibile condanna anche fino a sette anni di carcere se questo causa un incidente con morti o feriti; -sospensione breve della patente di guida (articolo 4) quale sanzione accessoria da 7 a 15 giorni, elevati a 30 giorni in caso di incidente, per alcune infrazioni delle norme del codice della strada, tra cui: circolazione contromano, passaggio con il rosso, mancato utilizzo del casco e delle cinture di sicurezza è l′utilizzo di dispositivi elettronici alla guida; -inasprimento delle sanzioni per eccesso di velocità (articolo 4) con multe da 173 a 694 per chi supera di da 10 km/h a 40 km/h i limiti massimi di velocità. Se la violazione avviene all′interno di un centro abitato e per almeno due volte nell′arco dell′anno, la sanzione sale fra i 220 e gli 880 euro con sospensione della patente da 15 a 30 giorni; -telefonini al volante (articolo 4), con inasprimento delle pene previste (multa tra 250 e 1.000 euro) e sospensione automatica della patente per una settimana se si hanno almeno 10 punti. La sospensione sale a 15 giorni se i punti sono più bassi. In caso di recidiva, la multa può raggiungere 1.400 con la sospensione che può arrivare a 3 mesi e decurtazione da 8 a 10 punti. -accertamento delle violazioni con dispositivi automatici (articolo 10) con ampliamento delle infrazioni rilevabili e divieti in caso di cumulo delle sanzioni; -circolazione delle moto 125 cc sulle autostrade per maggiorenni (articolo 16) in caso di motocicli di cilindrata non inferiore a 120 cc se condotti da maggiorenni; -disciplina della sosta e della circolazione urbana (articoli 24 e 27), con l′introduzione di contrassegno per disabili e gratuità la sosta sulle "strisce blu" e l′inasprimento delle sanzioni per la sosta illecita sugli spazi riservati agli invalidi e per chi parcheggia in modo irregolare in prossimità delle fermate dei mezzi pubblici, con multe da 165 a 990 . Viene prevista una riduzione del 30% se la multa viene pagata entro 5 giorni ma in caso di superamento del termine, l′importo cresce progressivamente. -autovelox: se si ricevono più multe nello stesso tratto stradale, entro un′ora e sotto la competenza dello stesso ente, si applica una sola sanzione: la più grave, aumentata di un terzo. -nuove multe per chi beve alcolici prima di guidare: per i neopatentati e i minori di 21 anni, il limite di alcol nel sangue deve essere pari a zero, con sanzioni fino a 624 . Per chi ha esperienza alla guida il limite è di 0,5 g/l di alcol nel sangue. In caso di superamento le multe possono arrivare fino a 6.000 con sospensione della patente fino a 2 anni e la decurtazione di 10 punti dalla patente. Inoltre, chi è già stato condannato per guida in stato di ebbrezza dovrà montare un dispositivo alcollock e non potrà guidare se non a tasso alcolemico pari a zero, per un periodo che varia dai 2 ai 3 anni. -Sono state poi introdotte e inasprite le sanzioni per quanto riguarda il passaggio col rosso, mancato uso delle cinture e altri comportamenti pericolosi. La modifica entrata in vigore a partire dal 14 dicembre mira quindi ad inasprire le sanzioni e a tutelare aspetti non ancora normati dall′attuale legislazione, cercando di fungere da deterrente e di offrire una normazione quanto più completa possibile.
Convocazione assemblea di condominio tramite messaggio Whatsapp
La recente pronuncia del tribunale di Avellino ha chiarito un importante dibattito, spesso frutto di esigenze patiche e specifiche, in merito alle modalità di convocazione delle assemblee condominiali, chiarendo di fatto quanto previsto all′art 66 delle disp. att. c.c. Il procedimento generava dall′impugnazione di una delibera condominiale in cui l′attore deduceva di non essere stato convocato alla riunione assembleare; di conseguenza chiedeva che ne fosse dichiarata la nullità/annullabilità e/o l′inefficacia. Il condominio si costituiva deducendo che i condomini si erano legittimamente autoconvocati in assemblea avvalendosi di un modulo predisposto dall′amministratore e consegnato ad uno dei partecipanti al condomino. Quest′ultimo, dopo aver ricevuto dall′amministratore l′avviso per la convocazione, aveva provveduto ad inoltrarlo a tutti i condomini a mezzo dell′applicativo di messaggistica WhatsApp, sostenendo quindi la regolare convocazione dell′assemblea. Il Tribunale, rigettando quanto sostenuto dal condominio, ha osservato come la comunicazione dell′avviso di convocazione a tutti i condomini sia cruciale per la regolare costituzione dell′assemblea essendo l′omissione della convocazione causa di annullabilità delle decisioni prese dall′assemblea stessa. Ciò premesso il Tribunale ha sottolineato che le comunicazioni intervenute tra le parti mediante l′applicativo di messaggistica Whatsapp sono da considerarsi informali e di natura meramente preparatoria e non certo idonee a determinare una legittima convocazione dell′assemblea condominiale. Secondo il Tribunale l ′avviso di convocazione deve essere comunicato a mezzo posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano. Al riguardo, la giurisprudenza è chiara nel ritenere che l′elenco formulato dall′art. 66 delle disposizioni di attuazione del codice civile sia esaustivo e non si possa estendere ad altre forme non previste dalla legge. Con questa sentenza, oltre a sancire l′impossibilità di convocare tramite Whatsapp l′assemblea di condominio, il Tribunale ha dichiarato l′esaustività dell′art 66 disp. att. c.c. sancendo di fatto l′inderogabilità di quanto ivi previsto, ritenendo quindi legittima la convocazione di assemblea solo se effettuata tramite fax, PEC, raccomandata o consegna a mano, unici strumenti che garantiscono la certezza del ricevimento.
La maternità surrogata come reato Universale
Nella Gazzetta Ufficiale n. 270 del 18 novembre 2024, è stata pubblicata la Legge n. 169 del 4 novembre 2024, avente ad oggetto Modifica all′articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, in materia di perseguibilità del reato di surrogazione di maternità commesso all′estero da cittadino italiano. Il provvedimento che entrerà in vigore il 3 dicembre 2024 e che è stato approvato dal Senato, in via definitiva, il 16 ottobre 2024, si compone di un unico articolo, ai sensi del quale al comma 6 dell′articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (rubricato Divieti generali e sanzioni) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: Se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all′estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana. Tale legge, sicuramente divisiva, rappresenta senza dubbio un provvedimento fondamentale nella questione della maternità surrogata, rendendo di fatto la gestazione per altri un reato universale. La maternità surrogata era già vietata in Italia ed oggetto di accesi dibattiti civili e politici, tanto che la stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 162 del 2014 ha precisato che la fecondazione eterologa va rigorosamente circoscritta alla donazione di gameti e tenuta distinta da ulteriori e diverse metodiche, quali la cosiddetta "surrogazione di maternità", espressamente vietata dall′art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004, con prescrizione non censurata e che in nessun modo ed in nessun punto è incisa dalla presente pronuncia, conservando quindi perdurante validità ed efficacia. Sempre la Corte costituzionale (sent. n. 272/2017, par. 4.2) ha inoltre definito la maternità surrogata quale pratica "che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane". L′impossibilità di ricorre alla pratica della maternità surrogata in Italia ha spinto molti ad esercitarla all′estero. Tale situazione ha però inevitabilmente sollevato ulteriori e importanti questioni, tra le quali il riconoscimento della genitorialità del minore generato mediante maternità surrogata e la perseguibilità penale di tale comportamento, commesso all′estero, in Italia, questioni sulle quali la giurisprudenza si è pronunciata in modo non unitario e soprattutto sollecitando l′intervento del legislatore. La modifica alla legge 40/2004 ha quindi posto fine a tale dibattito sancendo di fatto la punibilità delle condotte di commercializzazione di gameti o embrioni e di surrogazione di maternità commesse in Paese estero anche quando tale Paese non qualifichi le stesse come illecite elevando quindi la maternità surrogata a reato universale e ponendo fine a lunghi e accesi dibattiti instauratisi nel corso degli anni. Tale legge rappresenta senza dubbio uno spartiacque fondamentale in tema di maternità surrogata e diritti civili che sarà sicuramente oggetto di accesi e lunghi dibattiti.
Perfezionamento della notifica PEC in caso di mancata consegna per casella piena del ricevente
Le Sezioni Unite con ordinanza n. 32287/2023 sono state investite del compito di dirimere un′importante e aperta questione in tema di notificazioni a mezzo PEC. Nel corso di un giudizio per risarcimento danni veniva proposto ricorso in Cassazione in data 24 gennaio 2022. Il controricorrente, costituendosi in giudizio, eccepiva l′inammissibilità del ricorso per essere lo stesso stato proposto oltre il termine breve ex 325 c.p.c. La controricorrente deduceva di aver notificato il ricorso in data 31 ottobre 2021, ricevendo però l′avviso di mancata consegna in quanto presente un errore 5.2.2- Info Cert S.p.A.-casella piena. A detta della ricorrente era onere del difensore provvedere al controllo della PEC e dello spazio disponibile per il ricevimento delle notifiche, essendo quindi la causa della mancata tempestiva costituzione totalmente da imputarsi al difensore/destinatario. La Corte di Cassazione ravvisando orientamenti non univoci ha rimesso la decisone alle Sezioni Unite, chiamate quindi a pronunciarsi sulla possibilità di ritenersi perfezionata la notifica in caso di restituzione al mittente del messaggio casella piena, che risolvendo l′aperta e controversa questione, hanno affermato che la notificazione a mezzo PEC non si perfeziona nel caso in cui il sistema generi un avviso di mancata consegna, anche per causa imputabile al destinatario, ma soltanto se sia generata la ricevuta di avvenuta consegna. Il notificante sarà tenuto a riattivare tempestivamente il procedimento notificatorio attraverso le forme ordinarie di cui agli artt. 137 e ss. c.p.c.. Nel caso in cui venga prodotto tale avviso sarebbe infatti impossibile per il destinatario non solo conoscere il contenuto dello stesso, ma verrebbe sottratta a quest′ultimo anche la possibilità di venire a conoscenza che nei suoi confronti è stata effettuata una qualsiasi comunicazione/notificazione, rendendo impossibile conoscere latto del processo. È quindi necessario nel caso in cui il messaggio non venga recapitato per casella piena procedere alla ordinaria notificazione a mani tramite l′ufficiale giudiziario, garantendo quindi il fondamentale diritto di difesa nella sua declinazione di conoscibilità dell′atto/attività del processo.
Sentenza 27353/2024
La corte di Cassazione con sentenza n 27353/2024, pubblicata il 22.10.2024 ha sancito un importante principio per quanto riguarda il potere riconosciuto al giudice di liquidare in via equitativa il danno derivante dalla perdita della capacità lavorativa in caso di invalidità superiore al 25%. Il ricorso in Cassazione prende le mosse dalla richiesta di risarcimento danni per danni biologici permanenti e superiori al 25%, per la quale sia il giudice di primo grado che quello di seconde cure avevano riconosciuto la somma di 220.311,00, rigettando però la richiesta di risarcimento per il danno derivante dalla perdita di capacità lavorativa. La Corte dAppello sosteneva che essendo il richiedente un minore non percettore di reddito sussisteva incertezza sulla qualificazione e quantificazione delle varie voci di danno, non superabile se non con prova rigorosa. Secondo tale Corte i soli postumi invalidanti non erano da soli idonei a fa presumere la perdita di futuri guadagni essendo necessario quantificare in maniera specifica il danno. La Corte di Cassazione a seguito del ricorso proposto dal soccombente/richiedente, ha sancito un importante e innovativo principio, ritenendo fondato il ricorso e sancendo il principio secondo cui nei casi in cui lelevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa ed il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere allaccertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi. Sulla base quindi di quanto sancito, nei casi di invalidità superiore al 25% sarà sufficiente dimostrare la perdita di capacità lavorativa, prescindendo dalla quantificazione del danno subito per tale motivo, essendo rimessa al giudice tale valutazione sulla base di criteri equitativi.
Sentenza Numero: 26727 del 15/10/2024
Con la sentenza 26727 del 15.10.2024 la Cassazione a Sezioni Unite si è pronunciata a seguito dell′ordinanza interlocutoria di remissione n. 20476 del 17 luglio 2023. La Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla possibilità per il convenuto opposto, nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, di proporre una domanda nuova, diversa da quella avanzata nella fase monitoria, anche nel caso in cui l′attore opponente non abbia proposto una domanda o una eccezione riconvenzionale ma si sia limitato a sollevare eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto. L′intervento delle Sezioni Unite ha preso le mosse da un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo nel corso del quale il convenuto opposto, che all′esito della fase monitoria aveva ottenuto decreto per il pagamento di 818.324,06 quale corrispettivo della prestazione resa, a seguito delle eccezioni avanzate dalle opponenti che contestavano l′esistenza del rapporto contrattuale e la validità dello stesso, aveva sollevato domanda di condanna al risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale di cui all′articolo 1337 c.c. e all′indennizzo di cui all′articolo 2041 c.c. Avverso la sentenza che accogliendo l′opposizione rigettava le ulteriori domande proposte, veniva proposto appello all′esito del quale la Corte rigettava il gravame, affermando, relativamente alle ulteriori domande presentate in primo grado, che le stesse erano state presentate "in modo inammissibile non essendo le stesse conseguenti ad una domanda riconvenzionale proposta dalle parti convenute sostanziali". Sul punto veniva proposto ricorso in Cassazione a seguito del quale veniva rimessa la questione alle Sezioni Unite che pronunciandosi hanno affermato che: -nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la proposizione da parte dell′opposto nella comparsa di risposta di domande alternative a quella introdotta in via monitoria è ammissibile se tali domande trovano il loro fondamento nel medesimo interesse che aveva sostenuto la proposizione della originaria domanda nel ricorso diretto all′ingiunzione -chi ha avviato il giudizio per via monitoria ha facoltà di introdurre nella comparsa di risposta le domande alternative che eventualmente intenda presentare, non potendo invece riservarle fino all′ultimo giro offerto dall′articolo 183, sesto comma, c.p.c. Fino a quest′ultimo, comunque, a seconda dell′evoluzione difensiva dell′opponente posteriore alla comparsa di risposta, gli sarà consentito proporre domande come manifestazioni di difesa, anche se non stricto sensu riconvenzionali È stata quindi espressamente riconosciuta la possibilità di proporre all′esito dell′opposizione, sino alla comparsa di costituzione, nuove domande laddove strettamente connesse e funzionali alla domanda avanzata nella fase monitoria.
Corte Costituzionale - Sentenza 160/2024
La Corte costituzionale con la sentenza 160/2024, ha dichiarato l′illegittimità costituzionale dell′art. 7, comma 3, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell′attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell′abuso edilizio, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell′atto di accertamento dell′inottemperanza alla ingiunzione a demolire. La pronuncia delle Corte originava dalla vicenda di una società cessionaria di un credito garantito da un′ipoteca iscritta su un terreno, sul quale era stato realizzato un immobile abusivo. La società, a seguito del pignoramento di immobile e terreno, faceva istanza di vendita, che veniva però respinta dal Tribunale con dichiarazione di improcedibilità dell′esecuzione forzata, in quanto l′immobile abusivo e l′area circostante erano stati acquisiti al patrimonio comunale, ai sensi dell′art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, con conseguente estinzione del diritto di ipoteca iscritto sul fondo. Il tribunale, nel successivo giudizio di opposizione agli atti esecutivi, confermava con sentenza l′ordinanza e veniva quindi proposto ricorso in Cassazione, nel quale veniva ravvisata e sollevata la questione di illegittimità costituzionale. La Corte nel pronunciarsi ha rilevato che l′art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, esponeva il creditore ipotecario a conseguenze sanzionatorie ingiuste in quanto frutto di un abuso edilizio al quale detto creditore è del tutto estraneo, perché non è destinatario dell′ordine di demolizione, né chiamato a rispondere della sua inottemperanza e neppure obbligato alla predetta demolizione, posto che il diritto reale di garanzia non attribuisce né il possesso, né la detenzione del cespite, ravvisando una violazione degli artt. 3, 24 e 42 Cost., nella parte in cui impongono un irragionevole e sproporzionato sacrificio al creditore garantito da ipoteca. Di fatto dopo la pronuncia della Corte con la procedura di confisca il Comune va considerato mero acquirente del bene, non frapponendosi ostacoli alla esperibilità da parte del creditore ipotecario della procedura di esecuzione forzata nei confronti del Comune stesso.
Constatare lo stato di ebbrezza anche senza l′etilometro.
Con la Sentenza n.20763/2024 la IV sezione penale della Corte di Cassazione si è espressa in merito alla possibilità di constatare la sussistenza dello stato di ebbrezza anche senza l′espletamento di un valido esame alcolimetrico. La sentenza della Suprema Corte prende avvio da un ricorso avverso una sentenza della Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma del locale Tribunale, in cui un soggetto veniva condannato alla pena di mesi sei di arresto ed ammenda di 1.500,00, oltre alla sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida. Il guidatore, a seguito di un sinistro da lui provocato, veniva sottoposto a controllo da parte degli Spedali Civili di Brescia, dal quale risultava un tasso alcolemico di 3,69g/l, superiore quindi al limite stabilito di 1,50g/l. Il ricorrente lamentava come la Corte di merito avesse accolto un′eccezione circa l′inutilizzabilità degli accertamenti svolti dai sanitari ai fini d′indagine, i quali avevano constatato la sussistenza dello stato di ebbrezza in ragione delle sole dichiarazioni rese dagli agenti intervenuti. Non potendosi stabilire la precisa concentrazione di alcol nel sangue attraverso le sole dichiarazioni rese dagli agenti, il ricorrente riteneva errata la conferma della sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida. La Suprema Corte ha respinto il ricorso dichiarandolo manifestamente infondato. Con specifico riferimento al reato contestato aggiungeva inoltre che, poiché l′esame strumentale non costituisce una prova legale, l′accertamento della concentrazione alcolica può avvenire in base ad elementi sintomatici per tutte le ipotesi di reato previste dall′art. 186 cod. strada. In aggiunta, la Corte rileva che in assenza di un valido esame alcolimetrico, il giudice di merito può valutare la sussistenza dello stato di ebbrezza dall′individuazione di aspetti quali lo stato comatoso e di alterazione manifestato alla vista delle forze dell′ordine, certamente riconducibile ad un uso assai elevato di bevande alcoliche - certamente superiore alla soglia di 1,50 g/l - per come evincibile dalla riscontrata presenza di un forte odore acre di alcol, nonché dalla assoluta sua incapacità di controllare l′autoveicolo in marcia e di rispondere alle domande rivoltegli dagli agenti. Alla luce di quanto detto, emerge la volontà della Cassazione di non vincolarsi all′esito di un test alcolimetrico per poter stabilire lo stato di ebbrezza quando questo possa esser desunto dalle condizioni del guidatore attraverso le dichiarazioni rese agli agenti competenti.
Quale saggio di interesse applicare in caso di interessi legali?
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n 12499 del 7.05.2024, hanno chiarito e risolto il contrasto giurisprudenziale avente ad oggetto il saggio di interesse da applicare in relazione agli interessi legali, menzionati, senza un′ulteriore specificazione, in una sentenza di condanna. In particolare, la questione sulla quale la Corte doveva esprimersi, era stabilire se interpretare la mera previsione degli interessi legali come previsto dall′articolo 1284 c.c. co 1 (Il saggio degli interessi legali è determinato in misura pari al 5% in ragione danno) oppure come previsto dal co 4 del medesimo articolo (se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali). La pronuncia della Suprema Corte trae origine dall′opposizione di una società per azioni ad un atto di precetto. La S.p.a. sosteneva l′erroneità nel calcolo degli interessi secondo il co. 4 dell′articolo 1284, in quanto il credito riconosciuto dal titolo giudiziale escludeva l′applicazione del comma in questione, trattandosi di credito risarcitorio e che per questo il giudice dell′esecuzione non avrebbe potuto integrare o interpretare in via estensiva. Il Tribunale di Milano a questo punto ha sollevato dinanzi alla Suprema Corte la questione in merito a quale fosse l′interpretazione più corretta per gli interessi legali (senza ulteriore specificazione). La questione sollevata dal Tribunale era legittimata dal fatto che la giurisprudenza negli anni, si è espressa in modo piuttosto controverso, con orientamenti contrapposti. Il primo orientamento, nonché maggioritario, si basa sulla circostanza che l′applicazione di interessi diversi da quelli stabiliti ex. art. 1284 co 1 necessita la verifica di determinati presupposti preclusi però al giudice esecutivo. Il secondo indirizzo statuisce che, nei casi in cui gli interessi legali non siano specificati in una sentenza di condanna, questi siano dovuti automaticamente secondo la forma descritto dal co 4 dell′art 1284. Esaminata la questione e considerando le diverse interpretazioni giurisprudenziali, le Sezioni Unite si sono espresse concentrandosi sulla diversa natura del giudice di cognizione rispetto al giudice dell′esecuzione, non avendo quest′ultimo poteri integrativi e svolgendo un′attività di mera interpretazione del titolo messo in esecuzione. La Corte di Cassazione afferma inoltre che il co 4 rinvia ad una fattispecie in cui parte degli elementi sono integrati da ulteriori presupposti (rispetto alla legge generale) suscettibili di autonoma valutazione. La Suprema Corte stabilisce quindi che ai fini dell′applicazione del tasso maggiorato è richiesto al giudice di cognizione l′accertamento della sussistenza di tali ulteriori presupposti. Le Sezioni Unite concludono in definitiva stabilendo che nei casi di non determinazione degli interessi legali, il creditore non potrà rivendicare gli interessi maggiorati in sede di esecuzione ex art.1284 c.c. co 4, ma potrà tuttavia richiederli nei casi in cui questi siano espressamente previsti dal titolo esecutivo giudiziale.
Approvazione ed omologazione: due attività autonome con finalità distinte
Il 18 aprile 2024, la Corte di Cassazione, con l′ordinanza n. 10505 si pronuncia riguardo la distinzione tra l′attività di approvazione e di omologazione dei dispositivi elettronici per la rilevazione della velocità del veicolo. In particolare, la Suprema Corte stabilisce che si tratta di due attività tra di loro autonome e conseguenziali, essendo l′approvazione propedeutica all′omologazione dello strumento. La pronuncia in esame origina da un ricorso proposto dal Comune di Treviso, il quale in sede di appello impugnava la sentenza di primo grado del Giudice di Pace, con la quale si accoglieva l′opposizione del resistente contro un verbale di accertamento della Polizia locale di Treviso circa la violazione dell′art. 142, comma 8, c.d.s., con cui si rilevava l′eccesso di velocità del veicolo attraverso un dispositivo elettronico installato in postazione fissa. Il tribunale di Treviso, in appello conferma la pronuncia di primo grado rigettando l′appello del ricorrente, in quanto afferma che legittimamente si era annullato il verbale di accertamento per eccesso di velocità, poiché avvenuto con apparecchiatura elettronica non preventivamente omologata, ma soltanto approvata. La questione viene riproposta in Cassazione, dove il Comune di Treviso denuncia la violazione e/o falsa applicazione di una serie di disposizioni di legge tra cui gli articoli 142, comma 6, 45 comma 6, e 201, comma 1-ter, c.d.s., in quanto con la sentenza di primo e secondo grado non si sono ritenute equivalenti le due attività di approvazione e omologazione. In particolare, il ricorrente lamentava che nel disposto dell′art. 142, comma 6, c.d.s., non si specificava in cosa effettivamente sostanziasse l′omologazione, dovendosi quest′ultima desumersi per via interpretativa dal combinato disposto di altre disposizioni normative, tra le quali anche quelle di rango secondario, nelle quali indistintamente si fa riferimento all′approvazione o all′omologazione. La Cassazione, rigettando il ricorso e rifacendosi al principio gerarchico delle fonti normative, per cui le norme di rango primario non possono essere derogate da quelle secondarie e di carattere regolamentare-amministrativo, dichiara l′autonomia delle due operazioni. Nello specifico, con la pronuncia della Suprema Corte, si afferma un′interpretazione rilevante ai fini dell′applicazione della disciplina in materia, in quanto affinché il dispositivo elettronico di rilevazione di velocità sia funzionante e legittimo deve essere approvato e successivamente omologato. Le due operazioni infatti hanno finalità distinte e si pongono, dal punto di vista temporale, conseguenziali tra di loro, poiché l′approvazione "costituisce un passaggio propedeutico al fine di procedere all′omologazione", mentre quest′ultima "autorizza la riproduzione in serie di un apparecchio testato in laboratorio" a differenza dell′approvazione che invece "non richiede la comparazione del prototipo con caratteristiche ritenute fondamentali".
L′ordinanza della Corte di Cassazione n.10091 del 15-04-2024
Con l′ordinanza del 15.04.2024 la Corte di Cassazione ha confermato un principio e una linea giurisprudenziale già sostenuti in precedenti pronunce, quali ad esempio la Cass. n. 32165/2023 e Cass. n. 34755/2023, secondo il quale il messaggio di posta elettronica certificata può accertare soltanto la ricezione del messaggio e non il contenuto dei documenti allegati allo stesso. L′ordinanza della Suprema Corte prende avvio dal decreto depositato dal Tribunale di Cagliari con il quale veniva rigettata un′opposizione ex art. 98 legge fall. proposta avverso il decreto con cui il giudice del fallimento aveva rigettato la domanda di insinuazione del credito richiesto per i canoni d′affitto d′azienda. Il Tribunale aveva infatti condiviso l′impostazione del Giudice Delegato ritenendo il contratto di affitto d′azienda in oggetto non opponibile alla procedura in quanto privo di data certa. In particolare aveva osservato che, pur potendo costituire un significativo elemento di prova della data certa la PEC con cui la società aveva chiesto il pagamento dei canoni insoluti, tuttavia, tale documento non era dotato di data certa, essendovi solo la prova dell′invio di una PEC, ma non anche che il documento allegato alla PEC fosse la nota di insinuazione nel credito. La Corte ha quindi stabilito come la PEC possa essere indicativa soltanto per dimostrare l′avvenuta ricezione di una qualsiasi comunicazione e la data della stessa, ma non per dimostrare l′avvenuta ricezione di eventuali allegati alla stessa, potendo contenere gli stessi documenti falsi o privi di qualsiasi contenuto. La PEC non può quindi confermare la veridicità del contenuto degli allegati prevedendo l′ordinanza che la PEC è in grado di attestare in maniera certa l′avvenuta trasmissione e ricezione del messaggio, le modalità di spedizione ed anche il suo contenuto, ma limitatamente alla PEC stessa, non al file allegato ad essa. La PEC è quindi uno strumento fondamentale per attestare la trasmissione certificata di determinati atti, ma non si deve presumere la lettura di eventuali allegati alla stessa, essendo quindi preferibile includere i documenti allegati direttamente nel messaggio della PEC.
Le verifiche preliminari ex art 171 bis c.p.c. al vaglio della Corte Costituzionale!!
Nell′ambito del processo civile, le recenti verifiche preliminari sancite dall′ormai noto ex art. 171 bis c.p.c. hanno sollevato interrogativi significativi circa la loro conformità ai principi costituzionali. In particolare un′ordinanza emessa dal Tribunale di Verona, la n. 150 datato 23 settembre 2023, ha catalizzato l′attenzione sulle possibili censure di incostituzionalità legate a questo istituto processuale. Le verifiche preliminari, disciplinate dalla riforma Cartabia del processo civile, rappresentano un cardine della fase istruttoria, richiedendo al giudice di esaminare la regolarità della costituzione delle parti e del contraddittorio, nonché la presenza di questioni di merito e di rito, rilevabili d′ufficio, entro un termine di quindici giorni dalla costituzione del convenuto. Tuttavia, il Tribunale di Verona ha sollevato dubbi riguardo alla legittimità costituzionale di tali verifiche. In particolare, si è discusso se le stesse possano violare il principio di delega legislativa stabilito dalla legge n. 206/2021, che ha introdotto le verifiche preliminari. Secondo il Tribunale, l′inclusione di questo controllo potrebbe rappresentare un "eccesso di delega" rispetto ai poteri attribuiti al legislatore delegato. Inoltre, il Tribunale ha sollevato questioni sul rispetto del principio del contraddittorio e sull′adeguata tutela dei diritti delle parti del processo, come sancito dall′art. 24 della Costituzione Italiana. Il fatto che il giudice segnali alle parti le questioni rilevabili d′ufficio per consentire loro di discuterne nelle memorie successive, senza assumere alcuna decisione immediata, potrebbe sollevare dubbi sulla garanzia di un processo equo e contraddittorio. Infine, il Tribunale ha considerato se le verifiche preliminari possano violare il principio di uguaglianza sancito dall′art. 3 della Costituzione Italiana, in quanto potrebbero comportare una disparità di trattamento tra le parti del processo. La risoluzione di tali questioni sarà di fondamentale importanza per determinare la legittimità di questo istituto processuale nel contesto dei principi costituzionali italiani!
La Corte Costituzionale: Il diritto di proprietà non vacilla di fronte all′occupazione abusiva degli edifici abbandonati.
Decreti ingiuntivi emessi dagli avvocati. La proposta alla Camera
Il panorama legale italiano potrebbe presto assistere a un profondo cambiamento con la proposta di legge n. 1374, che propone una riforma significativa attribuendo agli avvocati il potere di emettere ingiunzioni di pagamento per crediti fino a 10.000(DIECIMILA). L′obiettivo è affrontare la paralisi in alcuni uffici giudiziari e alleggerire il carico di lavoro dei Giudici di pace, tenuto conto delle recenti estensioni delle loro competenze. La proposta introduce un nuovo "Procedimento d′Ingiunzione Semplificato" nel codice di procedura civile, consentendo agli avvocati di emettere atti d′ingiunzione su richiesta dei loro assistiti creditori. L′atto, con una scadenza di 40 giorni per il pagamento, fornisce la possibilità di opporsi legalmente, avvertendo che in mancanza di opposizione, diventerà esecutivo, consentendo l′esecuzione forzata. Condizionato dalla prova scritta del diritto o da crediti legati a onorari e spese professionali, l′atto d′ingiunzione deve dettagliare spese e compensi professionali. Il giudice competente verifica la validità dell′ingiunzione, dichiarandola esecutiva in assenza di opposizione, ma nulla se emessa senza i giusti presupposti. Il debitore, se già ha pagato in seguito a un′ingiunzione dichiarata nulla, ha diritto alla restituzione immediata. L′opposizione giudiziale può essere presentata al giudice competente, che verifica i presupposti alla prima udienza. In caso di omissione dolosa o colpa grave da parte dell′avvocato nell′emissione dell′ingiunzione, sono previste azioni disciplinari. Questo approccio innovativo potrebbe rivoluzionare l′accesso alla giustizia e semplificare la gestione di crediti di importo limitato, aprendo nuovi orizzonti nella pratica legale in Italia.
RIFORMA NEL PROCESSO TRIBUTARIO: LA SFIDA DELL′EQUITÁ PROCESSUALE
Il già variegato panorama normativo nel campo del diritto tributario ha subito significative revisioni con l′entrata in vigore del D.lgs. 220/2023 (04/01/24) soprattutto riguardo alle modifiche apportate all′art. 58 del D.lgs. 546/1992. La riformulazione di questo articolo, focalizzata sulle prove ammissibili in appello, ha destato un acceso dibattito in merito alla sua implementazione e al suo impatto sul regolare svolgimento del processo tributario. L′essenza di tale normativa si basa sull′impedimento di nuove prove e documenti in fase di secondo grado, a meno che il giudice non li ritenga fondamentali o che una delle parti dimostri di non aver avuto la possibilità di presentarli nel grado precedente per cause indipendenti dalla sua volontà. Tuttavia, emerge un punto di particolare interesse: nonostante il divieto di presentare nuovi documenti in appello, vi è la possibilità per il giudice di acquisire tali documenti, anche se prodotti in violazione dell′articolo 58, nel caso in cui la parte coinvolta manifesti un interesse specifico. L′intento primario di questa riforma sembra essere quello di preservare l′equilibrio originario del processo, richiedendo al giudice tributario di riesaminare attentamente le prove e gli atti già presentati nel primo grado senza l′introduzione di ulteriori elementi. Tuttavia, questa normativa pone interrogativi sulla sua effettiva applicabilità. Il punto di maggior discussione verte sull′equilibrio tra il divieto di nuovi documenti in secondo grado e la discrezionalità residua del giudice nell′acquisirli se espressamente richiesti dalle parti. Tale dinamica potrebbe, in effetti, compromettere la parità di trattamento tra le parti coinvolte nel processo. Inoltre, questa nuova disposizione richiama l′attenzione sul confronto tra le riforme normative e i principi fondamentali sanciti dalla Costituzione, sollevando interrogativi sul possibile contrasto tra le legislazioni delegate al governo e i dettami costituzionali. In conclusione, la tensione tra le riforme normative e i principi fondamentali incisi nella Costituzione incarna una sfida cruciale: bilanciare l′evoluzione del diritto tributario con la sacralità dei diritti garantiti, dove la giustizia e l′equità devono costantemente armonizzarsi in un equilibrio ininterrotto.
Indebito arricchimento, le Sezioni unite chiariscono quando si può proporre lazione
Le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 33954/2023 hanno gettato nuova luce sulle dinamiche dell′azione di arricchimento indebito, delineando chiaramente le circostanze in cui tale azione può essere legalmente proposta. L′articolo 2042 del codice civile, che sottolinea il "carattere sussidiario dell′azione", afferma che l′azione di arricchimento non può essere avanzata se esiste un′altra azione per ottenere il risarcimento del danno subito. La Corte Suprema ha offerto un′interpretazione dettagliata, indicando che l′azione di arricchimento può essere perseguita quando l′alternativa legale, che può basarsi su un contratto, una legge o clausole generali, è intrinsecamente carente nel fornire un titolo giustificativo. D′altra parte, se il rifiuto dell′alternativa legale è determinato da prescrizione, mancanza di prove sul danno subito, nullità del titolo contrattuale per violazione di norme imperanti o ordine pubblico, allora l′azione di arricchimento è ineseguibile. Il caso in questione riguardava una Srl che aveva presentato un′azione di arricchimento senza causa nei confronti di un Comune, il quale aveva impedito l′edificabilità di un terreno nonostante lavori effettuati. La corte di Appello adita rigettava la domanda, la Suprema Corte di Cassazione ha criticato tale decisione, sottolineando una valutazione superficiale del principio di sussidiarietà. Il rigetto della domanda iniziale è stato ricondotto all′accertamento dell′inesistenza del titolo fondante la domanda secondo l′articolo 1337 c.c., consentendo così l′avanzamento dell′azione di arricchimento senza causa. La Suprema Corte ha specificato che l′azione di arricchimento è preclusa se l′azione principale è persa a causa di comportamenti dell′impoverito, come la prescrizione o la decadenza. È cruciale distinguere tra il rigetto derivante dalla mancanza originaria dei presupposti della domanda principale e quello causato dall′inerzia dell′impoverito nel difendere il proprio interesse. Se la domanda principale si basa su un contratto rilevatosi nullo, si può legittimamente avanzare un′azione di indebito arricchimento. Viceversa, se il rigetto deriva dalla mancanza di prove sul danno causato dall′inadempimento dell′altra parte del contratto, l′azione di arricchimento è preclusa in base all′articolo 2042 c.c.
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